È iniziata la scuola, parliamo di bilinguismo
Sull'argomento ci sono migliaia di studi e
ricerche, dallo sviluppo del bilinguismo nei bambini fino alla decadenza delle
capacità linguistiche nella vecchiaia. La maggior parte degli studi fanno
riferimento e si richiamano l'un l'altro, pochi sono veramente originali,
questo l'avevo già constatato venti o trenta anni or sono quando avevo iniziato
a studiare questo argomento.In Germania a differenza di altre nazioni
europee, il bilinguismo è considerato un problema a livello scolastico. O per
essere più precisi, a costituire un problema agli occhi degli insegnanti sono
le lingue dei bambini stranieri (che anche se nati in Germania restano
stranieri). E per essere ancora più precisi e dirla tutta fino in fondo, non
tutte le lingue costituiscono un problema: nessun insegnante tedesco si
sognerebbe di sconsigliare l'uso della lingua d'origine coi figli a genitori
americani (ed in minore misura francesi), mentre invece tutte le
altre lingue vengono considerate un ostacolo all'apprendimento del tedesco.
Atteggiamenti analoghi non si riscontrano in
altre nazioni europee, non in Italia o in Francia o nelle nazioni dell' Europa
dell'Est, Repubblica Ceca o Polonia o Russia, di cui posso parlare
per diretta conoscenza. Difficile venire a capo di questo
atteggiamento poiché non si basa su motivi concreti o riscontri verificabili ma
su "opinioni ricevute" come dicono i francesi, cioè idee assorbite
senza analizzarne le ragioni. La cosa non sarebbe di per se problematica,
ma lo diviene nella misura in cui l'uso delle lingue d'origine nelle famiglie
degli immigrati viene sconsigliato ai genitori. In misura minore certo
attualmente rispetto a decenni or sono, ma pur sempre in misura notevole. Non è
un caso che quando si parla di mantenimento delle lingue d'origine la prima
reazione sia la diffidenza, la menzione di presunti problemi, i timori per il
corretto apprendimento del tedesco, per il "sano ed equilibrato sviluppo
del bambino" fino al temuto spauracchio della "Überforderung",
cioè del sovraccarico cognitivo, quasi che il cervello dei bambini non fosse in
grado di apprendere contemporaneamente più lingue, o quasi che le lingue
nel cervello fossero come le fette di una frittata, e dunque due lingue = mezza
frittata ciascuna). Stranamente lo stesso
"ragionamento" non vale per le altre materie di studio, altrimenti si
dovrebbe concludere che ogni apprendimento aggiuntivo va a scapito di quanto si
è già appreso. Le lingue non si apprendono però per "sostituzione" ma
per addizione, cioè ogni nuova lingua si aggiunge a quelle già conosciute e -
come effetto positivo collaterale - più lingue si apprendono, più
facile ne diviene lo studio. Uno dei problemi è già nella definizione
stessa di bilinguismo: da quale livello di padronanza delle lingue una persona
può definirsi bilingue ? Ci sono anche molte illusioni al riguardo, come ad
esempio che qualcuno possa essere perfettamente bilingue. Già teoricamente è
impossibile che chiunque possa conoscere due lingue allo stesso modo, poiché
avrebbe dovuto dedicare l'identico tempo all'apprendimento delle due lingue,
vivendo quindi nello stesso tempo nei due rispettivi Paesi, e continuare così
per il resto della vita.Un'ottima padronanza è possibile non solo per
due ma anche per una dozzina di lingue diverse, e i casi di interpreti che
padroneggiano a livello professionale almeno 5 o anche 6 lingue sono numerosi.
Ma anche per loro una lingua almeno prevale su tutte le altre. Il famoso
linguista Roman Jakobson alla domanda "È vero che Lei parla dodici lingue
?" aveva risposto: "Sí, ma le parlo tutte in russo".Cioè umilmente ammetteva che l'accento d’
origine non poteva essere dissimulato nemmeno da uno come lui, che come
professore di fonetica aveva scritto insieme ad un collega forse il più
completo trattato sulla pronuncia dell'inglese.Chiaramente c'è quindi sempre una lingua che
prevale sulle altre. E normalmente si usano le diverse lingue secondo le
occasioni: secondo un noto aneddoto l'imperatore Carlo V. avrebbe affermato di
usare il francese con i diplomatici, l'italiano con le donne, lo spagnolo per
pregare Dio e il tedesco per comandare i cavalli.Vero o meno l'aneddoto, esso contiene
un insegnamento fondamentale: la padronanza di varie lingue è in funzione
dell'uso che se ne vuole o deve fare. Nessuno - esclusi i poliglotti per
diletto o rari studiosi - impara una lingua senza necessità di
utilizzarla. E dunque l'argomento per decidere se devono o meno essere
mantenute, studiate e perfezionate le lingue d'origine degli immigrati - in
qualunque Paese - è la loro utilità. La risposta è evidente: se i genitori
possiedono questa lingua come lingua materna (o una delle lingue apprese
nell'infanzia dai propri genitori) hanno motivo di trasmetterla ai figli poiché
è parte irrinunciabile della loro identità culturale.Non si tratta evidentemente di fare di ogni
bambino un interprete di conferenza, cioè di fornire conoscenze linguistiche a
livello professionale. Per un'educazione equilibrata e completa, quindi
partecipe dell'intera identità dei genitori, la lingua d'origine ha un suo
ruolo necessario ed insostituibile. Vero è che anche in età scolastica -
e in misura decrescente nell'intera durata dell'esistenza - si potrà ancora
apprendere qualunque lingua: ma sarà un apprendimento tecnico che, se anche
condurrà a livelli di padronanza ottimali, non avrà mai nulla a che vedere con
la trasmissione di una lingua d'origine da parte dei genitori, con tutti i
connotati affettivi ed emotivi che non si apprenderanno mai da libri né con le
più moderne tecnologie. L'unica certezza - ed è un'esperienza
quotidiana per chi viaggia e incontra parlanti plurilingui - è che è possibile
imparare molto bene più di una lingua, soprattutto se si comincia dalla più
tenera età, in famiglia.I limiti sono dettati infatti dall'età: non è
escluso imparare bene una lingua senza accento marcato ancora da adolescenti,
fino ai 14-15 anni, ma sono casi rari.Elias Canetti, premio Nobel per la
letteratura, scrisse sempre e soltanto in tedesco. Può essere interessante
conoscere il modo in cui divenne plurilingue, come lui stesso racconta in
un'intervista:"Ho trascorso i primi sei anni in
Bulgaria, dove ero nato, poi siamo emigrati in Inghilterra. La prima scuola che
ho frequentato era in Inghilterra, la prima lingua che ho parlato era lo
spagnolo antico, ((la famiglia era di origine sefardita, cioè ebrei cacciati
dalla Spagna insieme agli arabi dopo la "Reconquista" cattolica nel
1492)) poi ho imparato l'inglese come seconda lingua. In seguito i miei genitori,
che ci tenevano molto alla loro reputazione, avevano preso in casa una
governante francese, quindi ho imparato il francese come terza lingua. Mio
padre morì ancora molto giovane e mia madre, che amava molto Vienna dove era
andata a scuola, emigrò colà con me ed i miei due fratelli.(...).Durante il
viaggio verso Vienna mia madre fece una tappa a Losanna, dove in tre mesi mi
insegnò il tedesco, come metodi quasi terroristici, poiché voleva che io
venissi inserito subito nella classe giusta per la mia età a Vienna. Dunque il
tedesco è stata la mia quarta lingua, imparata all'età di otto anni".
(http://elfriedejelinek.com/andremuller/elias%20canetti.html).Dopo l'infanzia è materialmente impossibile
apprendere nuove lingue senza mantenere un accento della lingua d’origine. Ciò
per limiti percettivi: salvo eccezioni rarissime, l'orecchio non riconosce più
i suoni che sono estranei alle lingue fino ad allora apprese, e quindi se si
imparano nuove lingue si adattano semplicemente i suoni conosciuti e praticati
facendoli assomigliare a quelli delle nuove lingue. Difficilmente si raggiunge
la perfezione: è noto ad esempio il caso di cantanti, soprattutto lirici, che
nel canto riescono quasi alla perfezione in svariate lingue, ma poi parlando
rivelano l'accento della propria lingua materna. In ogni caso l'accento è un
problema sopravvalutato ma secondario, normalmente non disturba troppo la
comunicazione. Di fatto nessuno, nemmeno fra i parlanti della medesima lingua,
ha l'identico accento, tanto che siamo tutti in grado di riconoscere
immediatamente la voce di una persona conosciuta distinguendola da tutte le
altre! L'unico problema di chi parla una lingua con accento straniero è la
discriminazione da parte dei parlanti nativi, ma non è un problema linguistico ed
è tipico delle nazioni che si autodefiniscono monolingui, inesistente invece
nelle nazioni in cui il plurilinguismo è la norma.Un tempo l'educazione plurilingue era o
riservata ai figli dei re o degli aristocratici (che affidavano questo compito
alle governanti straniere, come già i Romani facevano insegnare dagli schiavi
il greco ai loro figli) oppure era la condizione naturale degli schiavi o dei
migranti che si trasferivano da un Paese all'altro e dovevano imparare le nuove
lingue per sopravvivere.Il plurilinguismo è sempre stato nella storia
la condizione più diffusa e il monolinguismo l'eccezione. Soltanto nel secolo
scorso in molti Stati il bilinguismo ha cominciato ad essere considerato un
problema, ma non per motivi psicologici o educativi, quanto piuttosto per
motivi politici.Gli antropologi al servizio delle politiche
nazionaliste avevano cominciato ad inventare e catalogare le differenze fisiche
(aspetto) fra le popolazioni del mondo teorizzando l'esistenza delle
"razze" che erano invece frutto della loro fantasia.Da queste concezioni assurde era derivata la
falsa convinzione del monolinguismo come necessità per l'esistenza di una
nazione "una lingua = una nazione". Una concezione continuamente
smentita dalla storia (in nessun Paese al mondo esiste una sola lingua, se non
lingue minoritarie ci sono sempre dialetti) ma che ha giustificato le
repressioni ed i genocidi in tutte le epoche storiche. Dal "shibolet"
biblico (Libro dei Giudici 12, 5-6) fino ad oggi, tutti i regimi
nazionalisti hanno sempre preso per prima decisione quella di imporre
alle minoranze la lingua della maggioranza vietando più o meno severamente
l'uso delle altre lingue - lo ha fatto l'Italia durante il fascismo, la Spagna
sotto la dittatura di Franco, lo fanno attualmente i Paesi Baltici e il governo
ucraino vietando la lingua russa nell'insegnamento scolastico: non dico qui che
siano fascisti, ma semplicemente constato che si comportano in ambito
linguistico esattamente come i governi fascisti. Ma tornando al problema della trasmissione e
del mantenimento delle lingue d'origine degli immigrati, quali sono le migliori
metodologie per il successo linguistico e naturalmente scolastico? In una serie di puntate successive proveremo
a riferire quanto la ricerca attuale e soprattutto le esperienze dirette sanno
dire di meglio a tal proposito.
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